Cashflow Fuffa: il caso Ariele D’Amici

Il nuovo prodigio del mondo fuffaguresco si chiama Ariele D’Amici. Ventidue anni, una ‘azienda’ (se così si può chiamare) chiamata ‘Cashflow Contents’ e un talento naturale per il brand name dropping che manco nei curriculum di LinkedIn gonfiati. Ariele da qualche settimana a questa parte sta spingendo il suo percorso di ‘content creation’, non solo in italiano ma anche in inglese, a colpi di Meta (Facebook) Ads sotto i nomi ‘Ariele D’Amici’, ‘Ariele Video’ e ‘Contents Ariele’. Risultato? La community di Fufflix ha iniziato a parlare di lui, e non per motivi lusinghieri.

Ma partiamo dal principio. Nel suo Instagram si presenta come ‘UNICO PUNTO DI RIFERIMENTO IN EUROPA🥇’ (ma di cosa?) e, in una storia in evidenza, afferma candidamente di aver inventato lui il termine ‘Content Manager’ due anni fa. Peccato che questa definizione esista da almeno vent’anni ed è utilizzata in ambito aziendale e accademico ben prima che Ariele sapesse accendere un computer: basta una rapida ricerca su Google o su LinkedIn per trovare annunci di lavoro per Content Manager già nei primi anni 2000. Ma si sa, quando ti costruisci un personaggio, la realtà storica diventa un dettaglio trascurabile. E così, non contento, racconta pure di aver formato ‘tutti i Content Manager, Content Marketer e Video Marketer’ che vediamo oggi. Parallelamente, vende un corso dal prezzo gonfiato, in cui promette di insegnare a guadagnare da 550 a 2000 dollari per ogni video, lavorando solo 60/90 minuti al giorno, come recitano le sue stesse ads.

Fin qui potresti dire: classico fuffa guru della nuova generazione. Ma la vera e grande specialità di Ariele è costruire un’aura di ‘autorità’ usando nomi grossi che, nella realtà, non hanno nulla a che fare con lui. E no, non è una mia supposizione, perché io sto seguendo attentamente Ariele da un bel po’. In passato ha pubblicato reel (poi misteriosamente spariti) in cui mostrava timeline di editing di Iman Gadzhi e MrBeast, lasciando intendere di aver lavorato con loro. Ho contattato personalmente i loro team e la risposta è stata un ‘no’ secco, ovviamente.

Oggi la formula è più ‘pulita’ ma identica: frasi volutamente ambigue, studiate per insinuare collegamenti senza mai dichiararli apertamente. Un esempio? Sul suo profilo Instagram appare un video con la descrizione ‘pov: hai creato un adv per il nuovo iPad’, accompagnato da un filmato che Ariele ha realizzato per sembrare una pubblicità Apple. Sulla landing page italiana compaiono i loghi di Netflix, Coca Cola, Prime Video e Google sotto la scritta ‘questo metodo è richiesto da aziende come…’. Sulla sua landing in inglese arriva addirittura a dire: ‘I get paid by companies like Netflix, Coca Cola, Apple…’. È vero, quel ‘like’ (‘come’) tecnicamente lo protegge, ma non prendiamoci in giro: chiunque ascolti quella frase penserà che lui lavori davvero con quei brand. È un po’ come se un ristoratore dicesse: ‘I miei piatti sono studiati da chef come Cracco e Bottura’, quando in realtà intende dire che cucina piatti simili. Legalmente può cavarsela, ma la percezione dei consumatori è ben diversa. E dubito che a Netflix, Coca Cola e Apple farebbe piacere.

Ma non abbiamo mica finito. Ariele ha anche un suo lato di ‘riciclo creativo’. Emblematico un suo video su YouTube intitolato ‘NON BUTTARE PIÙ SOLDI DA MCDONALD FINCHÉ NON VEDI QUESTO’, in cui ha preso un contenuto del canale ‘Fern’ su McDonald’s, lo ha tradotto, lo ha tagliato, ha aggiunto la sua voce di sottofondo e lo ha caricato come suo. In descrizione, un elegante ‘Ringrazio Fern per la realizzazione di questo video!’, giusto per pararsi il fondoschiena. Per uno che dice di aver rivoluzionato il mondo del video editing europeo, non proprio un manifesto di originalità.

In pratica, Ariele ha creato una nuova disciplina: il Content Marketing Illusionistico™ (e visto che ama autoproclamarsi creatore di termini, gli regalo il copyright anche su questo). Prima ti incoroni da solo come ‘unico punto di riferimento in Europa’, poi ti circondi di loghi e nomi che tutti conoscono… anche se loro non conoscono te. Usi frasi studiate per far credere che lavori con colossi mondiali e, se serve, puoi sempre difenderti con un ‘non ho mai detto che fossero miei clienti, ho solo fatto un esempio’. Nel frattempo ricicli stili già visti, template presi in prestito (tipo i suoi mille video fatti con il plugin ‘Mister Horse’) e contenuti tradotti, vendendoli come ‘super editing mai visto prima’ (che, tra l’altro, è un altro termine inventato da lui).

E qui la domanda è inevitabile: se la base della tua credibilità è fatta di associazioni forzate e frasi ambigue, quanto possiamo fidarci del resto? I ‘più di 40 clienti in Europa’ o i ‘più di 600 studenti’ del corso Cashflow Contents sono numeri reali o fanno parte dello stesso pacchetto marketing ‘creativo’? In un mercato già saturo di promesse gonfiate e fuffa travestita da formazione, forse sarebbe il caso di passare meno tempo su After Effects e più su un corso di trasparenza. Perché quando il biglietto da visita è un mix di brand inventati, titoli auto proclamati e contenuti riciclati, il sospetto è che anche il resto del film sia un falso copiato fatto male.